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Food Revolution: Quando L’Italia Imita Il Mondo

Cambia tutto nel rapporto con il cibo degli italiani. I nuovi stili di vita e la crisi sanitaria hanno fatto saltare gli schemi nel campo della ristorazione e dei consumi alimentari. Come intercettare i nuovi trend aprendo una attività in franchising con un marchio internazionale?

Di Luca Fumagalli – Senior Franchise Consultant – Co-founder Affilya

 

Nel corso degli ultimi dieci anni le abitudini, le occasioni di consumo e i gusti degli italiani in fatto di cibo sono cambiati radicalmente: consumi fuori casa, fast food, cibi etnici e delivery ci hanno portato in una dimensione nuova, meno “tradizionale” e più “internazionale”. Ce lo confermano i vari studi di Fipe nel corso degli anni e anche l’ultimo report dell’Osservatorio di Just Eat, realizzato in pieno lockdown.

IL CONSUMO FUORI CASA IN CRESCITA FINO AL 2019

La prima grande spallata alle tradizioni italiane a tavola l’ha data il cambiamento degli stili di vita, che ha fatto aumentare in maniera esponenziale l’abitudine a mangiare fuori di casa. Negli ultimi dieci anni, e fino al 2019, i consumi alimentari attraverso servizi di ristorazione hanno avuto un incremento reale del 5,7%, pari a 4,9 miliardi di euro, mentre quelli in casa hanno subito una contrazione quasi speculare. Ovviamente la pandemia ha sparigliato nuovamente le carte, ma nel frattempo certe “tradizioni” a tavola erano già state messe in discussione: meno pranzi in famiglia, meno cibo nel frigorifero, meno rigidità degli orari dei pasti, maggiore destrutturazione di ciascun pasto in favore di spuntini e, in generale, occasioni di consumo più diversificate durante la giornata.

IL BOOM DEL FAST FOOD E DEI CIBI ETNICI

Tutti questi cambiamenti hanno ovviamente aperto la porta alla sperimentazione di cibi diversi, come quelli offerti dai vari fast food restaurant che nel frattempo si sono affermati e si sono diffusi su buona parte del territorio nazionale (McDonald’s, Burger King, KFC, tanto per fare qualcuno dei soliti nomi), o dai ristoranti etnici le cui “mode” si sono succedute in questi anni (cinesi, giapponesi, asian fusion, greci, messicani, indiani, arabi…) e che in qualche caso hanno portato a veri e propri boom nella vendita di determinati prodotti (sushi e kebab, per esempio).

DELIVERY

Il mercato globale del food delivery su scala mondiale valeva, prima della crisi sanitaria, oltre 83 miliardi di euro, pari all’1% del mercato alimentare totale e al 4% del cibo venduto attraverso ristoranti e catene di fast food (dati McKinsey). Per questo segmento si stimava una crescita del 32% entro il 2021 (dati Technavio), percentuale che oggi appare addirittura troppo prudente. L’Italia, che si era mossa con il solito ritardo, negli scorsi anni ha cominciato la sua affannosa rincorsa. Gli esperti scrivevano: “La consegna di cibo a domicilio non è nemmeno una novità nel panorama della ristorazione italiana. Il nuovo sta nello sviluppo del servizio di delivery, basato prevalentemente sull’uso di app che permettono ai consumatori di scegliere e ordinare online, da una rete sempre più ampia di ristoranti, un insieme di piatti che vengono trasportati prontamente nelle case e negli uffici. L’innovazione sta, dunque, nella gestione del servizio della consegna che, grazie alle potenzialità della tecnologia, permette di ottimizzare i tempi e di conseguenza mantenere al meglio le caratteristiche organolettiche dei piatti.”

Da una indagine Fipe si rilevava che prima del COVID-19 il 30,2% degli italiani aveva avuto occasione di ordinare online il pranzo o la cena da piattaforme di food delivery.

Oggi le piattaforme più note nel nostro Paese come Deliveroo, Glovo, Just Eat, Uber Eats si contendono un mercato in decisa impennata. Secondo l’Osservatorio sull’e-commerce B2C del Politecnico di Milano, il giro d’affari nel 2018 è stato di 350 milioni di € con una crescita del 69 % sull’anno precedente e nel 2019 di 566 milioni di euro con un aumento di quasi il 62%

E’ evidente che nel 2020, complice il lockdown, questo fenomeno stia subendo una ulteriore accelerazione.

DIGITAL FOOD DELIVERY

Lo sviluppo del mercato italiano del digital food delivery, ovvero degli acquisti di cibo a domicilio tramite app. è stato impressionante. Nell’ultimo rapporto Just Eat di pochi mesi fa si parla della possibilità che questa tipologia di consumo arrivi entro l’anno a costituire fino al 25% dell’intero valore delle vendite di cibo a domicilio nel nostro Paese (contro il 18% del 2019). Si stima addirittura (Osservatorio sull’e-commerce B2C del Politecnico di Milano) che il solo digital food delivery possa arrivare a generare, nel 2021, un giro d’affari di oltre 1 miliardo di euro.

Complice la pandemia, ma anche la sempre maggiore dimestichezza con i vari device e con i pagamenti online, gli italiani hanno imparato a ordinare via app più spesso e in maniera sempre più ampia e diversificata in termini di momenti di consumo durante la giornata.

CHI ACQUISTA E COSA NEL FOOD DELIVERY

I più attivi nel food delivery sono i Millenials, insieme agli esponenti della Generazione Z, con una incidenza complessiva pari al 55% del totale degli ordini a domicilio. Ma in questo turbolento 2020 tanti nuovi clienti anche più in età si sono avvicinati al servizio di consegna a domicilio e circa il 34% di questi ha scelto di farlo direttamente attraverso le app. Non solo, quasi il 70% dei nuovi clienti ha utilizzato sistemi di pagamento digitali: insomma, è in corso una vera rivoluzione. Ma che cibi scelgono i clienti del delivery?  Al primo posto c’è la pizza, seguita da hamburger e da sushi. La cucina cinese ottiene la quarta posizione, mentre al quinto posto si attesta il pollo. Seguono dolci, panini e il sorprendente pokè. Poi il cibo messicano ritornato di moda e il greco, anch’esso riscoperto. Interessante è anche la classifica dei food trend del momento, ovvero dei cibi le cui vendite stanno aumentando di più nell’ultimo anno. Qui si scoprono altre grandi novità: chi cresce maggiormente, dopo il pokè, è il gelato. Vendite in aumento anche per le specialità di pesce e per il kebab, mentre al sesto posto, subito dopo gli hamburger, si colloca la pinsa. Andando nel dettaglio dei piatti, si fanno altre scoperte interessanti. Nel 2019 la più ordinata era ancora la pizza, seguita però da patatine fritte, involtini primavera, supplì, olive ascolane, riso alla cantonese, panino kebab, crocchette di patate, nigiri sake e ravioli cinesi alla griglia. Una curiosità da segnalare, infine, è l’aumento degli ordini online delle bevande, tra cui birre e vini che hanno registrato un clamoroso +128%.

SPAZIO PER TUTTI I GUSTI

Dato questo innegabile e inarrestabile fenomeno, la scelta di avviare una attività in franchising nella ristorazione non può che tenere conto dei gusti e della tipologia di clientela che acquista online. Come documentano i dati di consumo, gli italiani si dimostrano sempre meno tradizionalisti a tavola. Al contrario le analisi delle vendite ci parlano di clienti curiosi, aperti alla novità e alla sperimentazione di cibi diversi, scoprendosi in questo modo sempre più simili ai consumatori di tutto il resto del mondo. Ecco dunque che l’avanzata di marchi internazionali di successo, con le loro specialità e cucine, diventa sempre più concreta anche in uno dei Paesi più esigenti e conservatori in fatto di cibo. Da queste considerazioni noi di Affilya siamo partiti per proporre al mercato italiano marchi di conclamato successo internazionale come DOMINO’S PIZZA, gigante americano dal know-how unico nel settore del delivery della pizza, JOLLIBEE, colosso asiatico del pollo fritto che ha già sfondato a Milano e Roma, BAGELSTEIN, interessante format francese specializzato nei bagel.

PERCHE’ IL FRANCHISING

Se è vero che il delivery sta diventando uno dei canali privilegiati per l’acquisto di cibo, ci si potrebbe chiedere che senso ha aprire ristoranti di grandi dimensioni o acquisire brand conosciuti, oppure ancora avviare attività basate sul consumo dine-in e su una esperienza conviviale. Perché non avviare direttamente e in forma indipendente una dark-kitchen o una attività di solo asporto e domicilio, ad esempio, tagliando o riducendo molti costi (diritti sul marchio, location, arredi, attrezzature, personale, etc….), tipici dei grandi format di franchising?  La strada è assolutamente praticabile, ma meno in discesa di quanto si pensi. Il primo aspetto da valutare è quello legato alla notorietà di marca, all’immagine e alla comunicazione. I franchisor internazionali, in particolare quelli che noi di Affilya presentiamo, hanno marchi noti, riconoscibili e riconosciuti anche dai clienti delle piattaforme online. Hanno siti ad alto traffico, una comunicazione già sedimentata ed evoluta anche nell’online, una immagine matura, forte, distintiva e caratterizzante, in grado di “bucare” le piattaforme e arrivare più facilmente alla clientela. Il secondo aspetto è esperienziale. Molto spesso l’acquisto online è figlio di una esperienza fisica che ha portato il consumatore dentro ad un locale, a stretto contatto con una determinata offerta di prodotto ma anche di servizio. Quando questa esperienza manca (è il caso delle dark kitchen) va costruita ex-novo con costi e tempi spesso impegnativi. I franchisor internazionali (pensiamo per esempio a Starbucks) hanno già lavorato tanto sulla percezione del cliente e arrivano alla piattaforma con il loro portato emozionale che li fa preferire a molti dei loro competitor. Un terzo elemento importante è quello organizzativo. I franchisor internazionali, spesso con centinaia di aperture alle spalle, sanno come si fa (know-how) ad aprire e a far funzionare una nuova unità. Sanno come gestire la vendita offline e quella online, il consumo sul posto, l’asporto e il domicilio, sanno come strutturare gli spazi, come dimensionare le attrezzature, come organizzare il personale interno ed esterno. Spesso hanno già tutto il corredo tecnologico e di software, siti e-commerce, app personalizzate per gli ordini e per le consegne tramite propri fattorini, hanno mezzi ed equipaggiamenti. Insomma, non devono dipendere esclusivamente o quasi dalle piattaforme per la loro visibilità, per la gestione degli ordini e perfino per le consegne. Sono inoltre in grado di disintermediare il loro rapporto con il consumatore finale, evitando di lasciare buona parte dei loro ricavi e dei loro clienti alle varie piattaforme, ma anzi ampliando la propria base di clientela e fidelizzandola.

NUOVI SCENARI

Il COVID-19, con il suo drammatico impatto proprio sulla ristorazione e sui consumi fuori casa è destinato a “terminare l’opera”, accelerando quella che abbiamo definito come una vera e propria “food revolution”. Si libereranno quote di mercato soprattutto tra quegli operatori indipendenti non più in grado di reggere il calo dei consumi, a vantaggio degli operatori in catena più forti e più adatti alle future dinamiche di mercato. Ci sarà, e si sta già evidenziando, maggiore disponibilità di location appetibili a costi calmierati. Infine, sarà possibile reperire sul mercato del lavoro risorse umane qualificate. E’ dunque il momento giusto per investire nel franchising della ristorazione e per cavalcare questa “food revolution”? Riteniamo di sì. Occorre però ragionare a mente aperta, abbandonando i luoghi comuni e andando ad intercettare le dinamiche più attuali del mercato. Occorre anche saper scegliere i partner giusti, italiani o internazionali che siano, sfruttando le competenze di chi, come il Team di Affilya, seleziona accuratamente e certifica i franchisor che propone agli investitori della propria Franchising Community.

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